Cosa succede se un supervulcano esplode? | Kurzgesagt

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Trascrizione

La Terra è una gigantesca palla di roccia semifusa

con un nucleo di ferro caldo come la superficie del Sole.

Colossali quantità di calore risalenti alla sua nascita

e il decadimento di trilioni di tonnellate di elementi radioattivi

non possono fare altro che risalire.

Flussi di roccia lunghi migliaia di chilometri

trasportano questa energia in superficie.

A fermarli c’è solo la crosta terrestre.

Ci sembra solida ma è solo una fragile barriera,

la buccia di una mela in fiamme.

Possono affiorare autentiche catastrofi in grado di scatenare eruzioni

decine di volte più potenti di tutte le nostri armi nucleari messe insieme,

sottoponendo il clima in un solo anno a cambiamenti di norma frutto di secoli

e ricoprendo i continenti di cenere e gas tossici.

Sono i supervulcani.

Che dimensioni possono raggiungere? E segneranno la fine dell’umanità?

“Vulcani”

Ci sono molti tipi di vulcani – dalle grandi montagne ai duomi di lava –

ma hanno due genesi principali.

La prima è ai margini tra le placche tettoniche,

i pezzi di crosta che avvolgono la Terra come un puzzle gigante.

Ci sono sette placche tettoniche maggiori e dozzine di placche minori

che scorrono l’una sull’altra fino a 15 centimetri all’anno.

Può sembrare poco, ma su scale di tempo geologiche

è una colossale lotta per restare in superficie.

La placca vincitrice innalza una nuova catena montuosa,

mentre quella sconfitta sprofonda

in un oceano di roccia incandescente a 1300 °C:

l’astenosfera.

La temperatura sarebbe sufficiente a liquefare la roccia

ma l’estrema pressione di tutta quella massa

la mantiene in uno stato solido surriscaldato.

Le placche tettoniche restano a contatto con l’acqua per migliaia di anni

assorbendone una parte.

Quando sprofondano negli inferi, l’acqua innesca reazioni chimiche

che trasformano in magma una piccola parte della crosta.

Il magma liquido è meno denso della roccia solida

e sale verso la superficie sotto forma di bolle furenti

che alimentano delle sacche spugnose proprio sotto la crosta.

Se ne si accumula abbastanza, il magma riuscirà a forare la crosta

formando i vulcani per come li conosciamo.

Ciò avviene sotto la placca vincitrice,

una sorta di colpo di coda della sconfitta prima della sua definitiva scomparsa.

Si pensa che la seconda genesi dei vulcani derivi dai pennacchi del mantello.

Sono colonne di roccia particolarmente calda

che risalgono dalla discontinuità tra mantello e nucleo, fino in superficie.

Non se ne sa molto ma, in un certo senso,

è come se il mantello avesse un andamento meteorologico

e i pennacchi fossero aria calda che risale formando nuvole temporalesche.

Temporali nati centinaia di milioni di anni fa

grazie a rocce che si muovono di pochi millimetri al mese.

Ignorano il movimento delle placche tettoniche

e quindi possono penetrare la crosta creando vulcani in mezzo al nulla

che restano tenacemente attivi mentre la crosta si muove attorno a loro.

“L’esplosimetro vulcanico”

Gli scienziati amano misurare le esplosioni

e hanno inventato una scala logaritmica

che misura il volume del materiale emesso durante un’eruzione:

l’Indice di esplosività vulcanica, o VEI.

Per farla semplice, inizia in piccolo e diventa grande molto in fretta.

Un’eruzione VEI 2 riempirebbe di lava 400 piscine olimpioniche.

Ne avvengono circa dieci all’anno.

A VEI 3 cominciano ad esserci effetti devastanti,

come l’eruzione del vulcano Semeru nel 2021

che distrusse migliaia di case in Indonesia.

A VEI 5 vengono espulse catastrofiche quantità di materiale:

chilometri cubi di detriti,

equivalenti ad un lago di roccia fusa sparato in aria.

Come l’eruzione di Hunga Tonga-Hunga Haʻapai del 2022

la cui onda d’urto fece più volte il giro del mondo

e generò tsunami di proporzioni oceaniche.

A VEI 6, un’eruzione può cambiare il mondo.

Nel 1833, l’isola vulcanica di Krakatoa in Indonesia

eruttò quasi incessantemente per cinque mesi.

Una di queste eruzioni la distrusse,

producendo il suono più forte mai registrato.

10 bilioni di volte più forte di un razzo al decollo,

venne udito in metà del pianeta.

Tsunami di 30 metri si abbatterono sulle popolazioni vicine

e venne emessa una quantità tale di gas e polveri

che le temperature globali scesero di quasi 0,5 °C.

Le polveri tinsero di rosso i tramonti per molti anni.

A VEI 7 avvengono eruzioni super-colossali,

eventi con cadenza millenaria

che la civiltà umana ha affrontato solo una manciata di volte.

Il monte Tambora era una montagna di 4300 metri

finché non esplose nel 1815,

rilasciando un’energia pari a 400 bombe Tsar.

140 miliardi di tonnellate di cenere e polvere

arrivarono a metà strada dallo spazio prima di ricoprire i cieli del mondo

tingendoli di un giallo malsano.

L’anno successivo non ci fu l’estate, e i raccolti morirono,

insieme a centinaia di migliaia di persone.

Questo è lo spaventoso potenziale delle eruzioni vulcaniche,

con carestie che colpiscono l’altro lato del mondo

e persino con secolari periodi freddi ad esse attribuiti.

Ok, ma… “Cos’è un supervulcano?”

Il termine “supervulcano” è un’invenzione dei media

e non un termine scientifico.

Il problema principale è che non tutte le eruzioni di un supervulcano

sono delle super-eruzioni.

Ciò che rende speciali i supervulcani

è che attendono di eruttare per centinaia di migliaia di anni.

La pressione si accumula in enormi sacche di magma profonde diversi chilometri

finché non riesce a sollevare di diversi metri le rocce sovrastanti.

Le rocce subiscono la pressione finché non si fratturano

e miliardi di tonnellate di gas e cenere schizzano via a velocità supersoniche.

Un’esplosione pazzesca di almeno mille chilometri cubi

che si ripercuote in ogni angolo del globo.

Eppure si tratta solo di una piccola parte della sacca di magma.

Le super-eruzioni sono come una pentola d’acqua bollente

che fa saltare il coperchio, spargendo dall’alto.

In seguito il terreno collassa nella depressione creatasi

formando una conca chiamata “caldera”.

Sotto questa caldera, la pressione ricomincia a crescere

finché il vulcano non accumula abbastanza energia per un’altra super-eruzione,

che però potrebbe richiedere centinaia di migliaia di anni.

Si stima che uno dei pochi vulcani in grado di provocare super-eruzioni

potrebbe causare in media un’eruzione catastrofica ogni 17.000 anni.

Questo le rende molto più frequenti di impatti astronomici paragonabili.

La super-eruzione più recente

è l’eruzione di Oruanui in Nuova Zelanda di 26.500 anni fa.

Con la forza di dozzine di miliardi di tonnellate di tritolo

– una montagna di esplosivo grande come l’Everest –

una buona parte del paesaggio fu sradicato e proiettato nell’atmosfera.

Generò una caldera larga 20 chilometri

e gettò l’emisfero australe in un periodo di freddo improvviso.

Ma rispetto ad altre super-eruzioni sono solo fuochi d’artificio.

L’eruzione del lago Toba di 74.000 anni fa

storicamente è stato un punto di svolta molto più significativo.

Rilasciò la mastodontica quantità di 5.300 chilometri cubi di materiale,

sufficienti per ricoprire parte dell’Asia Meridionale con 15 centimetri di cenere

e innescare un repentino calo globale delle temperature di 4°C.

È possibile che l’inverno vulcanico sia durato dieci anni,

seguito da una siccità mondiale durata secoli.

Il clima terrestre potrebbe averne risentito per migliaia di anni.

Il più grande evento vulcanico conosciuto non è stata una gigantesca esplosione

ma l’esondazione di milioni di chilometri cubi di lava.

Il gran finale è stato il Trappo siberiano circa 250 milioni di anni fa,

un continuo rilascio di lava durato 2 milioni di anni.

Innalzò le temperature degli oceani fino a 40 °C

causando l’estinzione del Permiano-Triassico

che uccise oltre il 90% delle specie.

La superficie terrestre impiegò 9 milioni di anni per riprendersi.

Questi tipi di eruzioni non cambiano il clima: sono il clima.

Ma fortunatamente non vediamo niente di lontanamente paragonabile

da molti milioni di anni.

Dovreste quindi temere i supervulcani?

Decisamente no.

Sono stati usati per spaventare molte persone

e sono sovrastimati come esempio di apocalisse inevitabile.

Il più famoso, Yellowstone, erutterà di nuovo,

ma saranno eruzioni relativamente piccole.

Saranno un disastro naturale, certo, ma insufficienti per devastare gli USA

o per rappresentare una minaccia per l’umanità.

La probabilità di un’eruzione VEI 8 nei prossimi secoli è minore del 2%

e soprattutto non ci coglierebbe di sorpresa.

Tuttavia, anche eruzioni meno potenti ma più frequenti

possono rappresentare un serio rischio per la nostra civiltà

e per molti aspetti sono una preoccupazione molto più grande.

Dobbiamo stare attenti ai piccoli cambiamenti nelle sacche di magma

come rigonfiamenti del terreno e incrementi di temperatura

per emettere un’allerta preventiva che può salvare chi vive vicino ad un vulcano.

E c’è il tempo per sviluppare soluzioni

in grado di rimuovere zolfo e cenere dalla stratosfera

per eliminare la causa ultima degli sconvolgimenti climatici

che abbiamo osservato nelle eruzioni passate.

Chi lo sa, magari saremo persino in grado di trasformare

questa forza distruttiva in un alleato

sfruttando l’energia geotermica contenuta nelle enormi sacche di magma.

Abbiamo agito così per molti altri disastri

e stiamo facendo cose che avremmo potuto solo sognare pochi decenni fa,

come inviare una sonda per tentare di modificare l’orbita di un asteroide.

Con la giusta determinazione, l’umanità può risolvere qualunque problema.

Quindi, benché sotto di noi ci sia un inferno incavolato che ribolle

e che aspetta il suo momento, questa notte potete dormire tranquilli.

Imparare a superare catastrofi come il cambiamento climatico e i supervulcani

è interessante ma non meno impegnativo.

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