Passeggiamo - Passeggiamo con Uzo Aduba

🎁Amazon Prime 📖Kindle Unlimited 🎧Audible Plus 🎵Amazon Music Unlimited 🌿iHerb 💰Binance

Uzo Aduba: Adoro camminare e, quando mi sono trasferita a New York per la prima volta, non avevo sempre i soldi per il biglietto della metropolitana e andavo a piedi da casa al Queens, fino al mio lavoro da cameriera. Ma poi è diventata davvero un’opportunità privata e personale di avere con me stessa alcune delle conversazioni che non avevo tempo di fare durante la mia giornata piena. E così ho scoperto che, alla fine delle mie passeggiate, di solito avevo le risposte a molte delle mie domande o alle decisioni che stavo cercando di prendere.

[MUSICA INTRODUTTIVA]

Sam Sanchez: Questo è Passeggiamo, dove alcune delle persone più interessanti e motivanti del mondo condividono storie, foto e canzoni che hanno influenzato le loro vite. Uzo Aduba ha trovato la fama nel ruolo di Suzanne “Occhi Pazzi” Warren nella serie “Orange Is the New Black”, ma solo dopo anni di lavoro come attrice teatrale. In questa passeggiata, Uzo parla del mantenere la fede, di legami che durano tutta la vita e del potere trasformativo della fiducia in te da parte di chi ti circonda.

[SUONO DI CAMMINATA]

Uzo Aduba: In questo momento sto camminando a Fort Greene Park, che si trova a Brooklyn, New York. Ed è a pochi isolati da casa mia. Sono con il mio cane, Fenway Bark, Mr. Fenway Bark è il suo nome completo. Oggi è una giornata un po’ nebbiosa ma senza pioggia, per fortuna, ed è uno di quei parchi dove ci sono cani e bambini. C’è un campo da tennis. Di solito si vedono persone che pranzano, magari al primo o al secondo appuntamento. È semplicemente un posto tranquillo, in cui è facile passeggiare e godersi qualsiasi giorno della settimana.

Per parlare di cos’è la fede per me e del suo ruolo nel mio lavoro, devo partire dall’inizio della mia carriera televisiva. Stavo facendo uno spettacolo a Broadway e ho conosciuto una manager con cui ho iniziato a lavorare. Siamo uscite per un caffè e mi ha detto: “Hai mai pensato di fare cinema e televisione?” E la verità è che l’avevo fatto, ma tanto tempo prima. All’epoca, però, non vedevo nessuno come me in quei media. Così, quando ho iniziato a fare questo mestiere, credo di aver messo da parte quei sogni perché non vedevo nessuna donna di colore, con la pelle scura e non eurocentrica. Con il mio naso largo e gli occhi a mandorla. Non la vedevo. Semplicemente non esisteva, francamente. E così, ehm, mi sono concentrata soprattutto sul mio altro amore, che era il teatro.

E così, quando ha detto: “Hai mai pensato di fare cinema e televisione?” Ho detto: “No”. E lei: “Beh, credo che dovresti pensarci. Sai, penso che sia qualcosa che potresti fare”. Così ho detto: “Ok”. E lei mi dice… Ha detto: “Ok. Quindi ci proveremo, e non faremo nessun provino per il teatro, e non accetteremo nessuna offerta per il teatro”. E io: “Nessun provino?” Era un po’ spaventoso, ad essere onesti con voi, perché era il 2012. Mi guadagnavo da vivere facendo teatro. Una vita umile, ma è così che mi pagavo l’affitto. Era così che mi prendevo cura di me stessa. E così ci siamo buttate, e ho iniziato a fare provini. Ci provavo spesso, ma non mi rispondevano mai, niente. Dicevano cose come: “No, no, hmm, no.” Era frustrante. Vedevo i no salire e il mio conto in banca scendere, e cominciava a diventare davvero, davvero, davvero, davvero stressante perché mi chiedevo: “Cosa farò?” Poi pensavo: “Ok, ti ha detto di concentrarti. Dai, tieni duro. Provaci e basta”. Ma era così, oddio, ansiogeno.

Avevo un provino per una serie chiamata “Orange Is the New Black”. Ricordo di aver letto il copione. Ricordo di aver pensato che era così vivido, così vivo. Dovevo aver letto qualcosa come cinquanta o forse anche cento copioni, a quel punto. E questo è stato il primo che ho letto e mi ha fatto pensare: “Davvero buono. Mi piacerebbe far parte di qualcosa del genere”. E, ehm, l’ho messo giù, o quello che è, e sono andata al provino. La direttrice del casting ha detto: “È stato davvero fantastico”, mentre me ne stavo andando. Io ho detto: “Certo, come no. Questo è il mio cinquantunesimo provino di quest’estate”. Capite?

Comunque, un paio di settimane dopo, avevo un provino per un altro spettacolo. Vado, arrivo a quello che pensavo fosse il luogo del provino - non lo era. Mi avevano mandato l’indirizzo sbagliato. Corro, corro, fa caldo. Giornata calda, erano i primi giorni di settembre. E arrivo lì. Sono sudaticcia. Ansimo. Il direttore del casting esce e mi fa: “Sei pronta?”. E io: “Sì”. Capite? Allora… E, ehm… Quindi sono in ritardo di venti minuti. Il che è, nel mondo degli attori, un errore fatale per i provini.

Così entro. Leggo il provino, ed esco dalla stanza sconfitta, come se avessi fatto un errore enorme, pensando che non era quello che avrei dovuto fare nella vita, che la mia più grande paura di non essere invitata al tavolo si stava avverando in quel momento. E così sono uscita dalla stanza del provino. Sono andata sul marciapiede e ho iniziato a piangere, e non il tipo di pianto che si può sentire. È il tipo di pianto in cui le lacrime scendono e non riesci a fermarle, e non ti importa nemmeno di essere in pubblico, capite? E, magari siete stati a New York e avete visto quella scena, un ragazzo o una ragazza, lì da soli, e voi che riuscite a sentire il peso di quella solitudine. E… cammino verso il treno. Sono seduta sul treno da sola. E mi ricordo che all’inizio di quella settimana un mio amico aveva recitato una preghiera di resa. L’ho trovata sul mio telefono. E ho detto a me stessa e a Dio: “Mi arrendo. Hai vinto tu. Ho chiuso”.

Era la prima volta che mi arrendevo in questo ambiente. Avevo già avuto molti dubbi. Ma non ho mai, nel mio cuore, mollato. E ho scoperto che non ne ero felice. Forse mi sentivo in pace, pensavo: “Ok. Sai una cosa? Questa è una buona cosa. Ordinerò del vino, ordinerò del sushi. Andrò a casa, e andrà tutto bene perché ora il resto della mia vita sarà sulla buona strada. Farò quello che dovrei fare. Insomma, la mia vita sarà vissuta con uno scopo”. Era venerdì. Pensavo: “Lunedì chiamerò il mio agente e i miei manager. Non c’è problema. Mi prenderò il weekend, inviterò mia sorella Chi-Chi. Staremo insieme. Glielo dirò. Andrà tutto bene”. Arrivo a casa, mi siedo sul divano e penso: “Guarderò una delle puntate di Oprah’s Master Class”. Ne ho un mucchio salvate e cerco a lungo. Penso: “Guarderò la puntata con Lorne Michaels e su come ha iniziato il SNL.”

Quindi inizio a guardare, e lui sta parlando dei primi giorni, dell’inizio dello show. E penso sia la puntata pilota o qualcosa del genere. Sta parlando di come, sapete, ai critici non fregasse nulla. Diceva: “Gli darò un’altra possibilità. Se solo riuscissi a mantenere la fede” e lo schermo va in dissolvenza in stile Master Class, e c’era questo grande, vecchio albero, con un’altalena e quel cielo viola, arancione e rosso, come una di quelle pubblicità della limonata Country Time. E da sinistra a destra nella parte inferiore dello schermo, mentre la voce fuori campo di Lorne Michaels parlava, c’era scritto: “Se solo riuscissi a mantenere la fede”. E le parole “mantenere la fede” scorrevano sul fondo dello schermo. E io dissi: “Oh, wow. Mi piace davvero. Quando finirò la puntata, tornerò indietro a quella parte, metterò in pausa la TV, farò una foto e la twitterò”. E ho finito di avere questo pensiero quando il mio telefono ha squillato.

Erano le 17:43 ed era la mia agenzia a chiamare. Pensai: “Oh, cavolo. Probabilmente stanno chiamando perché oggi ero in ritardo di venti minuti per il provino”, e anche: “Sai una cosa? Non c’è problema. Lunedì avrei detto loro che mi sarei licenziata. Glielo dirò oggi. Perché aspettare?” Risposi al telefono, e ci fu silenzio per un attimo. E poi mi disse: “Hai presente il provino che hai fatto qualche settimana fa per quello show chiamato Orange Is the New Black?”. Risposi: “Sì”. Lei disse: “Beh, non l’hai ottenuto”. E io pensai, nella mia testa: “Oh, quindi ora chiamiamo gli attori per dirgli i lavori che non ottengono, fantastico”. Lei disse: “Non l’hai ottenuto, ma vorrebbero offrirti un’altra parte”. E la mia testa, se non fosse stata collegata al mio corpo, vi assicuro che sarebbe volata via. Iniziai a urlare, e poi mi zittii mentre la ascoltavo parlare della parte. Disse: “È la parte di Occhi Pazzi”.

E poi, sapete, a differenza di prima, di quel tardo pomeriggio, sera, dove le lacrime erano silenziose e tristi, ora ascolto e sono lacrime silenziose, di totale incredulità. Dico: “Non sai che mi ero appena arresa”. Mia sorella arriva, e ora la nostra festa a base di vino e sushi è passata da una festa “Mi licenzio” a una festa “Ho trovato un lavoro”.

Circa una settimana dopo, sono a casa, e penso: “Oh, mio Dio, non ho mai scattato quella foto che volevo fare”. Ho pensato: “Dai, lasciamela fare ora perché è perfetto. Mantieni la fede. Questa era la lezione”. Così torno al mio videoregistratore. Trovo la Master Class. Mando avanti a velocità doppia per cercare quella scena. Non riesco a vederla. Penso: “Oh”. Velocità a quattro, non la vedo. Forse sto andando troppo veloce. Pensavo: “Deve essere così veloce che non riesco a vederla”. Così mi sono detta: “Guardo tutto l’episodio. Va bene”. Guardo. Guardo tutto l’episodio e non c’è. Storia vera. È la verità.

E nessuno può dirmi che non c’era quando l’ho guardato la prima volta, perché so che c’era. E non è forse questa la fede? È credere in qualcosa che non puoi vedere o toccare. Non posso vederlo ora, ma so cosa ho visto, so come il mio cuore e la mia vita sono cambiati da quel momento. E da allora, se le cose diventano difficili o impegnative, credo che l’impossibile a volte possa essere reso possibile. Devi solo sempre credere, lasciare il più piccolo spazio per la speranza in qualsiasi cosa, sapete. Non solo nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in tutto. Le cose possono sembrare difficili e impegnative. Ma c’è sempre del buono. C’è sempre… Le cose si risolveranno sempre e andranno sempre bene. Giusto, Fenway?

Lo so, boo-boo. Forza. Lo so. Quattro anni e sei ancora un cucciolo.

Sono nigero-americana di prima generazione e i miei genitori avevano sempre pensato che avrei fatto l’avvocato perché parlo molto. E sapete, non è che abbiano necessariamente spinto per questo. Penso che, venendo in questo Paese, hai certe opzioni di lavoro che ti sono familiari e sai che sono stabili. E così ho pensato che avrei fatto l’avvocato per tutta la vita.

E, un giorno, ero nella mia classe di scrittura creativa, era il terzo anno di liceo, e la signora Mehlies, che era anche l’insegnante del club di teatro, di cui facevo parte, venne al mio banco e disse: “Mi piacerebbe vederti dopo la lezione”. E la mia mente, per il resto della lezione, si scervellava pensando: “Non ho mai fatto niente. Quindi non so nemmeno per cosa potrei essere nei guai”. E così vado alla cattedra e lei mi dice: “Hai pensato a cosa farai l’anno prossimo in termini di domande per il college e così via?” E io dissi: “Sì, in effetti”. Dissi: “Penso di voler fare qualcosa tipo storia, scienze politiche, qualcosa del genere. E poi penso di voler fare l’avvocato”. Lei disse: “Davvero?” Io dissi: “Sì”. Lei disse: “Hai mai pensato di andare alla scuola d’arte? Sai, sembra che ti piaccia davvero quando ti vedo alle prove. Sai che c’è una scuola per questo, vero?”

I miei occhi devono essere diventati assenti e grandi come piattini perché non avevo idea di che cosa stesse parlando. Perché i miei genitori amavano l’arte, e andavamo a vedere concerti e cose del genere. Ma penso che sia qui che si vede la falla nel ponte della storia degli immigrati. Non è qualcosa che esiste in Nigeria, francamente. Sono andata a casa e ho detto a mia madre che pensavo di voler fare la regista. Lei mi fa: “Ok”. E io… Più tardi, quel giorno, quella sera o quello che era, mi sono detta: “No, non è quello che voglio fare. Non è quello che voglio fare”. Ho detto: “No, no, no, mamma”. Dicevo: “Voglio andare in un college di arti dello spettacolo”. E lei: “No”. Più tardi le dissi di nuovo: “Lo voglio. Voglio andare in un college di arti dello spettacolo”. E lei: “No”. Ho lasciato perdere, e poi lei era in cucina. Le ho detto: “Mamma, voglio andare in un college di arti dello spettacolo. Questo è quello che voglio fare”. Lei ha detto: “Ok”. Mi ha fatto pensare, perché mi sono chiesta: “Ma perché mi hai detto di no?” E lei: “Volevo essere sicura che facessi sul serio”. E… e poi mi hanno sostenuto fino in fondo.

Questo è ciò che ha fatto iniziare tutto, il primo mattone, credo. E se non fosse stato per la signora Mehlies che mi ha notato… Capite? E questa è la cosa più importante, credo, sentirsi ed essere visti, giusto? Perché per me, il segno distintivo di un buon insegnante non è solo essere in grado di mettere in pratica intelligentemente il piano di studi. Il segno distintivo di un buon insegnante è essere in grado di vedere qualcosa in uno studente e saperlo tirare fuori con successo, aiutarlo a riconoscere quella capacità e guidarlo in quella direzione. Lei non era tenuta a farlo. Il suo compito non era quello di fermare la mia vita e indirizzarla nella giusta direzione, ma l’ha fatto comunque.

Fenway, siediti. Siediti. Siediti. Bravo. Pronto a camminare? Forza, camminiamo.

Io e mia sorella, mia sorella Chi-Chi, perché ho due fratelli, siamo, penso a causa della nostra differenza di età minima, siamo super vicine in età, abbiamo un anno e mezzo di differenza; abbiamo un tipo diverso di legame.

Diciamo che siamo quasi gemelle perché mia madre, penso avendo due ragazze così vicine di età, ci comprava gli stessi vestiti, gli stessi abiti, oppure uno viola e uno blu, ma identici.

E siamo state vestite così per molto tempo… Mi sembra tutta la mia infanzia. E così, quando mi stavo preparando per andare al college, ero così emozionata di andarci. E dicevo a mia sorella e a mio fratello minore, che era a casa all’epoca: “Sapete ragazzi, andrò al college”. Lo dicevo sempre così. “Andrò al college”. Ma mia sorella, Chi-Chi, rispondeva sempre al fuoco. Diceva: “Uzo, chi se ne frega? Sei solo a quarantacinque minuti di distanza, Uzo, e non è un grosso problema. Posso venire a trovarti quando voglio”.

E poi arrivò il giorno in cui dovevo andare a scuola, essere accompagnata. Mia sorella giocava a hockey su prato, si scoprì che le selezioni di hockey su prato quella settimana erano alla stessa ora, quando io sarei partita per la scuola. E così non sarebbe potuta venire con me. E così, quel pomeriggio o quel che è, la sua amica passò a prenderla per andare entrambe alle selezioni di hockey su prato. E io ero in cucina a lavare i piatti e lei mi fa: “Ok, ciao”. Sai, tipo, io dicevo: “Spacca tutto”. Sai: “Buone selezioni”. E poi: “Chi-Chi, oggi parto per il college”. Lei mi fa: “Oh, giusto, scusa.” Torna e mi dà una pacca veloce, dicendo: “Mmm, divertiti. Goditela. Divertiti”.

Ho detto: “Grazie” e sono tornata a lavare i piatti. E la mia schiena era girata verso la porta, e improvvisamente ho sentito la porta a zanzariera aprirsi, chiudersi e sbattere. Mi sono girata, ed era Chi-Chi che camminava verso di me piangendo, in lacrime, e mi ha dato un abbraccio fortissimo. Disse: “Mi mancherai così tanto”. E io: “Chi-Chi, va tutto bene.” Le ho detto: “Vado solo a quarantacinque minuti di distanza. Puoi venirmi a trovare quando vuoi. Non è un grosso problema”.

Quello che non mi era mai venuto in mente, ogni volta che dicevo che me ne stavo andando, era quanto fosse difficile per lei, che quando diceva: “È solo a quarantacinque minuti. Posso venire quando voglio”, non lo diceva perché non le importava che me ne andassi. Era perché ci teneva tanto. Quando è uscita ho pianto anch’io, perché la verità è che era come se non sapessi cosa fare della mia vita senza Chi-Chi. E quando ti rendi conto che hai qualcuno così nella tua vita, che è presente in ogni singolo istante, non vuoi perdere questa cosa.

Spero che tutti in questo mondo possano avere una Chi-Chi, capite cosa intendo? Avere qualcuno per cui faresti di tutto e che farebbe di tutto per te, ma che capisce anche il tuo umorismo, i tuoi difetti, i tuoi punti di forza, e ti ama incondizionatamente.

Siamo in cima alla collina, in piedi davanti alle scale di Fort Greene Park, di fronte al Prison Ship Martyrs Monument.

Riprendo fiato. Ci sono persone che fanno stretching, si rilassano sulle panchine, si allenano con i loro trainer. Questo è un ottimo posto per prendere fiato, circondati dagli alberi, circondati dalla rara pace che si trova a New York.

Vivo per questa canzone, perché mi fa pensare al viaggio in macchina verso la scuola al mattino al liceo. Io e mia sorella, con me al posto di guida.

[MUSICA CON DISSOLVENZA IN ENTRATA]

Lei sul sedile del passeggero, con la canzone a tutto volume, cantando a squarciagola, probabilmente causandosi danni vocali, e ognuna di noi che cantava in armonia, roccheggiando su queste parole. Un concerto in macchina. E ancora adesso, quando la sentiamo, io e mia sorella la cantiamo a ritmo di rock. Questa è “Galileo” delle Indigo Girls.

[MUSICA - “GALILEO” DELLE INDIGO GIRLS]

Questa canzone. Oh. Amo tantissimo questa canzone. Questa è una canzone che puoi ascoltare nella tua stanza. È una canzone che puoi ascoltare al parco. Colpisce su ogni livello. È divertente. È frizzante. Ti fa venire voglia di ballare. Ti fa venire voglia di pensare. Ti fa venire voglia di essere una donna migliore. Ti fa venire voglia di esistere con la stessa passione con cui è cantata. È davvero potente il modo in cui l’artista è in grado di fondere pop e divertimento, ma se ascolti davvero quello che dice, c’è un messaggio. Questa è “Doo Wop” di Lauryn Hill.

[MUSICA - “DOO WOP (THAT THING)” DI LAURYN HILL]

Non so perché amo così tanto questa canzone. Ogni volta che… Beh, prima di tutto, amo Whitney, e sento, tipo, l’energia. Mi piace come la voce entra lentamente e poi diventa molto forte. E ci si sente come se si volesse spaccare. Le mie mani sono in aria. Si sente un’energia positiva, una sensazione di leggerezza. È “Higher Love” di Kygo e Whitney Houston. È fantastica. Gioia pura.

[MUSICA - “HIGHER LOVE” DI KYGO E WHITNEY HOUSTON]

È divertente, non mi aspettavo di vivere questa esperienza durante questa passeggiata, perché stavo parlando ad alta voce, ma posso sentire che alcune delle conversazioni che avevo intenzione di avere con me stessa le ho avute con tutti voi, ho fatto pace con certe cose, ho trovato le risposte ad altre. È stato un vero, vero piacere. Un vero piacere. Grazie per aver trovato il tempo di camminare con me. Andiamo, boo-boo.